Ljiljana Avirović, Ivan Lovrenović - scrittore impegnato

Communicare, Bologna 4/2004.

Se il nome della Croazia ancor oggi vuol dire qualcosa e se l’orgoglio croato detiene ancora una traccia della sua sostanza spirituale e storica, allora davanti agli uomini e al cospetto di Dio esso può salvarsi soltanto con la decisa ed efficace sconfessione dei barbari la cui opera è tanto peggiore in quanto messa in atto nel nome della croaticità e dei cosiddetti interessi nazionali.[1]

Nell’ormai lontano 1993 reagisce così alla distruzione del Vecchio ponte di Mostar (novembre 1993) l’intellettuale, narratore, saggista, redattore di riviste e sceneggiatore cinematografico Ivan Lovrenović (Zagabria 1943). Le sue parole lucide e pesanti, più pesanti delle pietre del Vecchio ponte scaraventate nel letto del fiume Neretva, hanno dato un risultato migliore di quanto l’autore stesso avrebbe potuto aspettarsi. Lovrenović, scrittore impegnato, ha avuto una conferma positiva del suo struggimento intellettuale. Bisogna dire che per fortuna non è solo. Altri intellettuali croati si sono pubblicamente indignati davanti a quella barbarie e hanno alzato la loro autorevole voce. Radovan Ivančević, storico dell’arte e presidente dell’Associazione degli storici dell’arte, sempre nel 1993[2], così annota: Non ci è dato sapere se mai verrà a galla il nome del forsennato che ha esploso la prima granata sul Vecchio ponte, e neppure il nome di colui che ha esploso l’ultima. Lo scrittore Predrag Matvejević, ebbe a scrivere che i ponti della città di Mostar  hanno cominciato a distruggerli “i serbi”, che il Vecchio ponte lo hanno scaraventato nel Neretva “i croati”. I nomi “serbi” e “croati” vengono sapientemente collocati da Matvejević tra virgolette, per non identificare i talebani dell’una e dell’altra parte con quei croati e quei serbi che hanno pianto per la distruzione del Vecchio ponte. Nell’ottobre 2003, in un grande museo della città, Zagabria allestisce una mostra sul ponte distrutto, sulla sua storia passata e recente, sul suo “stato di salute” e sulla sua prevista rinascita nel 2004. Le parole di sgomento degli intellettuali, pronunciate a tempo debito, hanno portato a una catarsi benefica. La Croazia ha fatto tesoro delle parole di Lovrenović, dice l’autore del testo nel descrivere l’iniziativa della mostra, e colloca questa frase alla fine del testo, quasi come un ringraziamento e una sottolineatura dell’importanza dell’impegno intellettuale di Lovrenović. Questa frase riassume in sé pure il coraggio e la libertà intellettuale necessari in un momento così buio. La Croazia ha cominciato a dare retta alle parole dei suoi figli migliori! Ivan Lovrenović è uno di loro. Nato a Zagabria e vissuto da sempre in Bosnia Erzegovina, è una di quelle menti lucide di cui ogni società ha davvero bisogno. Ha frequentato le elementari a Mrkonjić (Bosnia). Si è laureato a Zagabria alla Facoltà di Lettere e filosofia - Dipartimento di lingue salve, letteratura ed etnologia. Ha lavorato come professore presso la scuola media a Mrkonjić e dal 1976 vive e lavora a Sarajevo. È stato redattore nella rivista Odjek e dal 1987 ha lavorato come redattore capo nella rinomata casa editrice Svjetlost di Sarajevo. Nella primavera del 1992, in seguito all’assedio di Sarajevo e del quartiere di Grbavica, Lovrenović con la famiglia passa nella zona libera della città. Dal 1993 vive in esilio in diversi luoghi (Zagabria, Berlino), ma nel 1997 ritorna a Sarajevo, dove tuttora vive e lavora. È membro della redazione del giornale spalatino “Feral Tribune”, collabora con il settimanale indipendente di Sarajevo “Dani” e con la casa editrice “Bosanska knjiga”. È membro e co-fondatore del PEN bosniaco, membro del PEN croato e fa parte della federazione internazionale dei giornalisti (IFJ). Già all’inizio della sua carriera lo scrittore e saggista Lovrenović determina l’orizzonte del suo interesse e lo colloca nello spazio della cultura e della storia della Bosnia Erzegovina. Scrive saggi critici nel campo della storia della cultura. Ha pubblicato i seguenti libri: Obašašća i basanja (Viaggi e itinerari), prosa poetica, Sarajevo 1975. Il suo primo romanzo, Putovanje Ivana Frane Jukića (Il viaggio di Ivan Frane Jukić), Mostar 1977,  considerato il primo romanzo biografico della Bosnia Erzegovina, si ispira all’attività illuministica e allo struggimento di un frate alla scoperta del divario culturale tra la Bosnia e il resto dell’Occidente. Lovrenović in seguito pubblica Bosna i Hercegovina: Ilustrirana monografija (Bosnia Erzegovina: Monografia illustrata), Sarajevo 1982,  Književnost bosanskih franjevaca. Hrestomatija (La letteratura dei francescani bosniaci. Antologia), Sarajevo 1982, Skice, lajtmotivi (Bozzetti e leitmotiv), Banja Luka 1986, Labirint i pamćenje (Labirinto e memoria storica), Sarajevo 1989, 1990, Klagenfurt 1994. Il volume Labirint i pamćenje contiene la storia poliedrica e complessa della Bosnia a partire dal paleolitico fino alla Prima guerra mondiale, che ebbe il suo inizio proprio a Sarajevo, e fino ai giorni nostri. Lo scrittore non si sofferma soltanto sull’iter storico e politico di questa terra, ma tenta di dimostrare come i due fattori (storia e politica), comprese le numerose invasioni, migrazioni, guerre e cambiamenti dei sistemi, hanno influenzato e stratificato l’intera cultura bosniaca. Vi troviamo la puntigliosa evoluzione della chiesa in Bosnia, la descrizione dell’architettura sacrale e secolare, la letteratura e la scrittura, l’arte nella creazione dei cippi sepolcrali, i celebri stečci. Il libro contiene pure le riflessioni sui grandi processi storici che hanno influito sulla composizione etnica nell’attuale Bosnia Erzegovina: le conversioni religiose nel Medioevo e nel periodo ottomano, nonché l’evoluzione delle comunità etnico religiose. La Bosnia è un enigma, come un enigma è ogni singolo uomo. Con i suoi volti scoperti e strati celati, con i suoi bellissimi e tenebrosi miracoli, la Bosnia è qualcosa in più e più complicato: un labirinto,[3] scriverà l’autore nella prefazione al suo volume, come se volesse mettere a conoscenza il suo lettore della complessità dell’argomento e sviluppare e districare quel “labirinto” così oscuro ai più. Seguono le pubblicazioni di Ex tenebris. Sarajevski dnevnik (Ex tenebris. Il diario di Sarajevo), Zagabria 1994, Welt ohne Brücke / Svijet bez mosta (Il mondo senza il ponte), Berlino 1994, Liber memorabilium, Zagabria 1995, Bosna, kraj stoljeća (Bosnia - la fine del secolo), Zagabria 1996, Unutarnja zemlja. Kratki pregled kulturne povijesti Bosne i Hercegovine (La terra interiore. Bosnia Erzegovina - breve rassegna della storia politica e culturale, Zagabria 1998, Bosnien und Herzegowina. Eine Kulturgeschichte, Wien 1998, Bosanski Hrvati, (I croati bosniaci), Zagabria 2002. Il libro Bosanski Hrvati ha un sottotitolo molto significativo: Saggio sull’agonia di una microcultura europeo-orientale. Si tratta di una vera e propria rivisitazione della storia dei croati bosniaci, partendo dal loro nome e dal suo enigma, per poi passare alla loro lingua. L’autore si interroga e tenta di dare una risposta all’interrogativo su chi siano veramente i croati bosniaci e cosa voglia dire essere croato in Bosnia oggi. La riflessione su questo popolo non offre, dunque, le risposte sul loro “destino”, ancora meno le illazioni sul loro futuro. Si tratta di un mosaico di immagini e di ricordi con i quali si tenta – in ogni caso in modo frammentario e incompleto – di narrare la storia di un passato sottaciuto e dimenticato…[4] La conferma della tesi sull’intellettuale impegnato deriva della postilla a questo volume. L’autore Lovrenović vi inserisce una serie di documenti importanti per la comprensione dell’argomento. In una sequenza cronologica vi troviamo pubblicate la Lettera di Stjepan Tomašević a Papa Pio II del 1462Fra Lovro Karaula scrive nel 1845 da Stambol una lettera all’addetto provinciale fra Stjepan Marjanović; Desideri e suppliche dei cristiani della Bosnia Erzegovina, che umilmente presentano a Sua altezza imperiale e felicemente regnante, il sultano Abdul-Medžid; Lettera del primate dell’ordine francescano fra Leonardo Bella, il 18 agosto 1941; Dichiarazione dei superiori della provincia francescana della Bosna Srebrena, del 2 maggio 1945; Lettera aperta al dott. Franjo Tuđman, presidente della repubblica di Croazia; Chi è pro e chi è contro la suddivisione della Bosnia. Anche soltanto uno sguardo sommario a questi documenti rappresenta “in miniatura” la storia dei croati bosniaci. La lettera aperta al presidente Tuđman, scritta a Sarajevo il 6 gennaio 1992, nel Giorno dell’Epifania, è firmata da: Miljenko Jergović, scrittore; Dr. Ivo Komšić, professore; Ivan Kordić, scrittore; Ivan Lovrenović, scrittore; Mile Stojić, scrittore. Invece il documento Chi è pro e chi è contro la suddivisione della Bosnia è firmato da Miljenko Jergović, Ivo Komšić, Ivan Kordić, Ivan Lovrenović, Mile Stojić. La sottile ironia che divide le firme degli estensori delle lettere contiene in sé tutta la tragicità con la quale gli autori desiderano sottolineare la pericolosità delle decisioni sul destino della Bosnia, che sta loro a cuore. L’impegno di Lovrenović ha trovato in questo volume l’apice della sua intensità ammonitrice. Lo storico e saggista Ivo Banac sottolineerà che …questa cronaca è stata scritta con la sensibilità shakespeariana di Lovrenović per la tragedia. Essa smembra le ascese e le cadute dei croati bosniaci, ma sempre sotto il profilo della loro recente incapacità di valutare la propria posizione, le proprie possibilità e i propri interessi reali. Spronata dalla sostanziale critica della croaticità tuđmaniana, che ha portato i croati bosniaci sull’orlo della distruzione negli anni Novanta, essa cerca un paradigma alternativo per il futuro dei croati bosniaci nella tradizione francescana che trova le forze nascoste proprio nelle debolezze. Lovrenović ha scritto inoltre le sceneggiature per i documentari: Sto godina Zemaljskog muzeja u Sarajevu (Cento anni del Museo nazionale di Sarajevo), Sarajevo 1989, Stoljeća Bosne Srebrene (I secoli della Bosnia Srebrena), Sarajevo 1990.

Di certo quella presentata non è tutta la produzione letteraria dello scrittore, ma è sufficiente per proporre al lettore italiano un altro grande della pleiade di scrittori che mettono al centro del loro interesse la terra natia. La pleiade, perché non solo nel passato, ma anche nel presente, questa terra così martoriata cela nel suo grembo numerosi cantori, poeti e scrittori. Ci si è chiesti spesso: perché proprio la Bosnia ne genera di così numerosi? Da dove proviene la loro melanconica vena narrativa?

La Vena narrativa
Un tentativo di risposta sta quasi sicuramente nel fascino che quella terra sprigiona. Le secolari occupazioni, la propensione alla tradizione popolare, narrata e cantata, e insieme una certa innata “tristezza”, hanno donato alla gente di quella terra un’inedita propensione alla narrazione. Forse anche l’ingiustificato isolamento di francescana memoria conferisce la forte propensione alla scrittura. A un simile quesito della curatrice, in una recente intervista radiofonica[5] Miljenko Jergović ha cercato di spiegare questo fenomeno con la fortissima propensione a parlare, a raccontare. In Bosnia anche una persona qualsiasi, in un momento qualsiasi, dice lo scrittore, è capace di creare un racconto dal nulla, di inventare, anche di mentire, pur di avere pronta “la sua storia” per chi ha voglia di ascoltare. Ma forse la risposta sta nel proficuo miscuglio delle diverse identità nazionali. Ognuna con la propria base di cultura, che una volta incrociata e amalgamata dal genio creativo dello scrittore, dà i suoi frutti nella letteratura nazionale bosniaca, a prescindere dall’appartenenza etnica o religiosa. La Bosnia Erzegovina è una terra composita. È la metafora della stratificazione, è un complicato rebus geopolitico e culturale, è un “sistema di vasi comunicanti” di popoli, religioni e culture diverse. È una terra con molteplici facce, ma pur sempre, almeno sul piano letterario, una e indivisibile. Forse stanno qui le risposte alla domanda relativa alla ricerca delle fonti della vena creativa, e al perché così numerosi, così diversi e quasi sempre eccellenti sono i suoi scrittori e poeti. Un’altra risposta forse si cela nella continua e massiccia ricerca stilistica che non prescinde mai dagli avvenimenti rilevanti della scena letteraria internazionale. Forse lo stesso fra’ Jukić del romanzo di Lovrenović è troppo severo nei confronti della sua terra. La creazione e l’arte poetica in Bosnia è davvero molto ampia, ma essa si basa sulle esperienze e sui principi più significativi che la letteratura internazionale ha prodotto. La migliore letteratura bosniaca non è mai priva dei più alti principi di estetica tradizionale. La forza interna della creazione artistica proviene dalla loro intrinseca energia spirituale, dalla loro particolare visione del mondo, dal fittizio isolamento e dalla maledizione in cui molti degli scrittori bosniaci si sono sentiti coinvolti. In breve, gli scrittori di quella terra erano da sempre ben informati e mai isolati dalle correnti letterarie occidentali. Le case editrici pubblicavano sia la narrativa sia i testi scientifici di ogni orientamento. In fatto di traduzione, la casa editrice Svjetlost di Sarajevo ha pubblicato già nel 1982 il testo cardine della teoria della traduzione di Jiřì Levy, L’arte di tradurre.  Lovrenović stesso è un lettore molto attento agli avvenimenti della scena letteraria internazionale. Pur tuttavia lui, come altri scrittori di quella terra, rimane sempre ancorato agli avvenimenti di ieri e di oggi della sua Bosnia. L’impegno narrativo di Lovrenović ha il sapore della storia. Nonostante ciò, e lo scrittore lo annota ogni volta che tocca l’argomento della storia bosniaca, non è uno storico. Il suo linguaggio è asciutto, ma senza pretendere di creare un’opera scientifica nel senso classico di questa accezione. Lovrenović compila saggi ricchi di spunti e di osservazioni, quasi sempre sostenuti da autentiche fonti storiche. Si pone in funzione di “testimone” che offre al lettore ulteriori argomenti non sufficientemente chiariti dagli storici. Il suo messaggio è specifico, ma non rigorosamente tecnico. Il registro linguistico delle opere è comunque molto alto e caratterizzato da una sintassi molto elaborata. Tende alla verbosità, attraverso perifrasi e circonlocuzioni, precisazioni e incisi. L’aggettivazione è abbondante e le strutture periodali molto complesse. Il suo lessico è caratterizzato da un’ampia gamma di variazioni. Di sovente usa un lessico dalla struttura interna molto articolata. Il ricorso ai forestierismi, in modo particolare il latino, e ai turcismi, molto usati nella parlata bosniaca, rende il suo narrare ricco sia dal punto narrativo che da quello storico. Si potrebbe dire che Lovrenović debba essere letto “a strati”. La narrazione è coniata soprattutto usando il presente storico e il passato prossimo. Sebbene la lingua italiana conosca il presente storico e lo usi frequentemente nei racconti e nelle cronache con la funzione di attualizzare l’azione, come scrive il linguista italiano Marcello Marinucci, la narrazione del nostro, dal punto di vista traduttivo, dovrebbe spesso subire il passato remoto o l’imperfetto. Questo procedimento concederà al traduttore di creare un registro più alto e a tradurre ogni sfumatura di significato insita nell’aspetto verbale usato dallo scrittore. Il periodo di Lovrenović è prevalentemente ipotattico e asindetico. Nella traduzione del saggio Le voci della notte a Sarajevo, presente in questo volume, per rendere più scorrevole il periodare, in alcuni casi si è dovuto ricorrere a delle modifiche del periodare, mantenendo comunque l’originalità dello stile dell’autore. Il saggio indicherà al lettore la strada della lettura corretta di tutta l’opera andriciana. Al traduttore ha imposto le ben note tre fasi della traduzione: la comprensione dell’originale, l’interpretazione e la stilizzazione. L’autore tratta e comprende autorevolmente l’argomento di cui scrive. Il traduttore lo deve capire dapprima a livello filologico e poi a quello artistico. La preparazione filologica non richiederà dal traduttore alcuna qualità particolare, ma chiederà la nozione dell’argomento trattato. Una traduzione corretta dal punto di vista lessicale non è ancora una traduzione completa. La corretta lettura del testo di partenza e la comprensione dei fattori stilistici della narrazione saranno ottenuti appena dopo l’interpretazione dell’originale. Nel nostro caso, lo scrittore autorevolmente spiega la strada della corretta lettura della Lettera…  andriciana e si rammarica del suo uso a fini politici. La comprensione della tensione stilistica, talvolta anche il senso traslato dell’enunciato, impongono al traduttore la ricerca delle unità linguistiche peculiari della pagina letteraria dello stesso Andrić. Per giungere alla stilizzazione del testo si è dovuto rileggere dapprima l’originale della Lettera dell’anno 1920 oggetto principale del saggio, e poi la sua traduzione in italiano. Seguendo questa strada, anche un lettore avvezzo alla lettura di Andrić dovrebbe trovare le corrispondenze con i testi già presenti in lingua italiana. Lasciando da parte i rari casi della necessità di allontanarsi da un significato, per non ricorrere alla possibilità della lettura ambigua del testo tradotto, rimane a disposizione del traduttore la grande scelta delle possibilità stilistiche. In questo senso il traduttore esprimerà sia l’insieme delle marche stilistiche dell’originale, sia il proprio approccio alla lingua di arrivo e trasmetterà al lettore l’equivalente del testo di partenza. Mediante la stilizzazione il traduttore esprimerà pure il proprio modo di scrivere che comunque deve essere limitato e sempre in funzione del testo su cui sta lavorando. Il presente saggio di Lovrenović contiene acute osservazioni sulla lettura del Nobel bosniaco molto spesso usata a fini politici. Quasi implorando dirà: Sottolineo, innanzi tutto, pur senza insistere troppo sul carattere assoluto dell’autonomia della letteratura, che si tratta in primo luogo di un testo letterario, e che i significati di un simile testo vanno decifrati con tutte le cautele del caso, e con l’aiuto di metodologie adeguate. Queste sono parole di uno scrittore impegnato degno di essere tradotto e letto anche da coloro che compilano innumerevoli  volumi sulla Bosnia.  


[1] Izložba u Muzeju “Mimara”: I Hrvatska obnavlja stari mostarski most, (La mostra nel museo “Mimara”: Anche la Croazia partecipa nella ricostruzione del Vecchio ponte di Mostar), Večernji list, Zagabria, 16 ottobre 2003, s.n. [2] Ibidem. [3] I. Lovrenović, Labirint i pamćenje, kulturnohistorijski esej o Bosni, Oslobođenje, Sarajevo 1989, p. 7. [4] Ivan Lovrenović, Bosanski Hrvati. Esej o agoniji jedne evropsko-orijentalne mikrokulture, Durieux, Zagabria 2002, p. 11. [5] L’intervista è stata trasmessa dalla Radiotelevisione svizzera italiana a cura di Sonja Riva.